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pittore scultore

Frammenti

La prima volta che in qualità di Curatore vidi un'opera di Antonio Lengua, pensavo di trovarmi di fronte a un sognatore che con volontà reale voleva essere protagonista della sua storia. Un narratore con capelli bianchi che avvolgevano un volto solare.
Non mi sono sbagliato. Le sue opere bisogna ascoltarle.

Arch. Valerio Pradal


Dove non arrivano gli occhi, subentra l'Arte.
E' una zoomata sul particolare, quella che ha voluto percorrere Antonio Lengua nella sua indagine: come una lente, come un microscopio, per entrare nel dettaglio e (ri)creare, quasi per germinazione spontanea, un'opera "altra".
O meglio: 12 opere, 12 squarci, che solamente alla fine si ricompongono nell'unità iniziale. Così per "Fuori dal mondo" che, nella disgregazione – ma solo apparente – del tempo, crea una sorta di viaggio che dalla miniaturizzazione iniziale, si trasforma in finestra aperta sull'universo. La forza dell'immagine "esce" con slancio e vigore nel primo ingrandimento dove tre cime – le tre Torri della Repubblica di San Marino -, bagnate da una luce lunare, sembrano illuminare la schiena di un Re, avvolto e rannicchiato – in una sorta di contemplazione – innanzi a una scultura. Un occhio acceso e minaccioso invece invade l'osservatore che si avvicina alla seconda opera. E' un personaggio vigile, che instilla silenzio tra una volta celeste segnata a croce – la condanna e la resurrezione – e un sottopalco basso, colorato, che richiama alla vita primaverile. Lavora invece su due punti luce – uno basso e uno alto – la terza indagine: ad una sfera che rassomiglia a un centro per freccette fa da contraltare una luna, piccola: un occhio pallido, che si posiziona davanti a un enorme dito, che cerca la via della sublimazione. I due occhi, nel quarto quadro, ruotano di 90 gradi: se l'algido spillo conserva la sua luce, il mondo pluricolorato – un'altra galassia, un'altra vita, un altro sistema – appare nelle sembianze di un sole autunnale, meno carico ma che riesce a portare vita agreste (l'immagine della foglia verde che gli fa da cappello ci parla di linfa, di piante, di respiro) probabilmente bucolica. Il quinto attimo – cinque le dita che richiamano l'arto, novello sposo dell'arte – porta l'osservatore nell'universo, luogo privilegiato di meditazione sul globo: il pianeta, sintetizzato in due colori (verde e azzurro), si affaccia – intermezzato da un piccolo sole – ad una materia della mente in cui, ostacoli - dona la sua energia ad un piccolo sole. Il disco giallo però appare decisamente più carico: il punto di colore è denso, quasi oleoso, lontano dall'estate ma non ancora indebolito dall'autunno. E' un sole che inventa cerchi più gentili, non perfetti.
Un luogo dove la vita può rinascere, dove la corona del Re ritrova sfavillanti raggi. Dove il grano si intreccia con i sogni dell'uomo. Nel settimo frammento il mondo è lontano – il colore è materico, uniforme, appallottolato – catturato da una mano uncinata che lo vuole soffocare. O lo vuole alzare a trofeo. A forma perfetta, a città-Stato, utopica ma distante da quella tratteggiata dal filosofo Tommaso Moro. Il Re – ma con il viso scoperto – ritorna dell'ottavo quadro: il reale è avvolto in una sciarpa panna, e sembra ignorare la vorticosità della scena che appare alle sue spalle: un cielo ovattato si trasforma in un occhio senza pupilla che osserva – dal fondale – il retro della corona, senza però porsi alcuna domanda sociologica.Usa la lente d'ingrandimento, Lengua, per il nono taglio: la figura inquietante del secondo quadro appare più grande – forse adulta – e svela la forza dell'indagine: gli occhi entrano in quelli dell'osservatore per farsi specchio dei fantasmi dell'umanità. Sforzi geometrici invece incidono il decimo passo, che si compie nella danze volumetrica delle linee fredde e delle curve della natura. Ma è ancora il globo, questa volta impreziosito dei suoi colori più genuini – il verde e l'azzurro – a dare il nome all'undicesimo atto: l'aria appare tersa, in bilico tra una luna lillipuziana e un sole che, perduti i sue riflessi, scandisce il tempo dell'umanità.
Possiede tinte munchiane la chiusa, ad effetto: il sole – i soli dell'uomo – riecheggiano in tonalità materne (il rosa), quasi a voler portare gli occhi verso il seno materno, fonte prima di vita di nutrimento. E quello che avviene nella mente – lo sperone color oro, simbolo onirico per antonomasia -, alla fine, rimane solo un sogno. Lontano. O, per parafrasare l'artista, "Fuori dal mondo".

Alessandro Carli

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